Tribunale e Magistratura:

 

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La costituzione:

Quando i Romani, nel 244 dalla fondazione di Roma, cacciarono l'ultimo re e decisero di instaurare una repubblica, si trovarono a dover ordinare la vita del loro Stato su basi completamente nuove. L'ordinamento monarchico era di un'estrema semplicità. Il re accentrava in se ogni autorità: egli era massimo sacerdote, capo dell'esercito, giudice supremo, unico amministratore dei beni dello Stato. La sua carica era a vita. Ora, affinché il potere non fosse più accentrato nelle mani di una sola persona, occorreva creare degli organi legislativi e delle magistrature che si controllassero tra di loro e moderassero l'una il potere dell'altra. Si venne così a stabilire una serie di norme che fissavano la struttura e regolavano il funzionamento dello Stato romano. Benché non fossero scritte, o, almeno, non fossero riunite in un'unica raccolta, queste norme formavano una vera e propria "Costituzione" dello Stato.

Organizzazione:

PATRIZIATO

PLEBE

Le famiglie patrizie che discendevano da un capostipite comune formavano una "gens". Vi erano circa 300 gentes. Capo della gens era il "pater".

                

COMIZI CURIATI SENATO COMIZI CENTURIATI
Ne facevano parte tutti i patrizi. Questa assemblea importante durante il periodo monarchico, durante la repubblica perse il suo valore politico e finì con l'occuparsi solo dei riti e delle tradizioni delle varie gentes. Ne facevano parte tutti i "patres" (cosicché ciascuna delle 300 gentes era rappresentata in Senato), cioè gli ex-magistrati e altre persone prescelte dai censori. Il Senato fu sempre la più influente delle assemblee. Ne facevano parte tutti i cittadini, patrizi e plebei. a questa assemblea spettava la nomina dei due consoli e la decisione di far guerre e paci. Il popolo, suddiviso in centurie, partecipavano ad essa e dava il suo voto.

Queste due assemblee nominavano e controllavano i magistrati.                              

MAGISTRATI

Dittatore: era un magistrato straordinario a cui si ricorreva in caso di pericolo. Rimaneva in carica per soli sei mesi, durante i quali erano sospesi tutti gli altri magistrati.
Tribuni della plebe: dovevano difendere gli interessi della plebe e per questo venivano scelti fra i plebei. Avevano l'autorità di porre il veto a qualsiasi ordine degli altri magistrati, se ritenevano che danneggiasse la plebe.
Pretori: avevano il compito di giudicare le controversie dei tribuni.
Censori: vigilavano sulla moralità e sui costumi. Potevano escludere dalle cariche un cittadino a cui si dovesse rimproverare cattiva condotta.
Edili: vigilavano sugli approvvigionamenti della città, sui mercati, sull'edilizia e sui giochi pubblici.
Questori: custodivano il denaro dello Stato, riscuotevano i tributi, pagavano le truppe e gli impiegati.
Pontefici: provvedevano al culto degli dei.
Consoli: Erano i massimi magistrati della Repubblica. Erano due ed avevano uguali poteri; l'uno poteva annullare le decisioni dell'altro. Convocavano e presidiavano il Senato, facevano eseguire le leggi e inoltre comandavano l'esercito.

Codice:

Uno dei principi fondamentali è "la legge è uguale per tutti". In Roma, nei primi tempi della Repubblica, non esisteva un codice quindi questa norma venne a mancare. Ciò era causa di grave malcontento da parte della popolazione plebea. Per la mancanza di leggi scritte e ben chiare, i giudici potevano giudicare e condannare a loro arbitrio; per la mancanza di parità dei cittadini di fronte alla legge, questa poteva essere verso alcuni indulgente, verso altri severa. Naturalmente i danneggiati da questo stato di cose erano i plebei che, senza istruzione, né pratica di diritto, senza ricchezze e amicizie influenti, venivano talvolta sfruttati e ingannati dai patrizi. Nel 291 dalla fondazione dell'"Urbe", il tribuno della plebe Terentillo Arsa avanzò la richiesta che fosse compilato un codice scritto delle leggi, da far osservare a tutti i cittadini, patrizi e plebei. Per ben dieci anni il Senato, che allora era formato esclusivamente da patrizi, ostacolò questa proposta, ma alfine, nel 302, sotto la minaccia di una rivolta popolare, fu costretto a condiscendere. I Comizi Centuriati scelsero dieci illustri cittadini, che furono detti "Decemviri" (da "decem", dieci, e "vir", cittadino). Ad essi fu dato l'incarico di preparare il codice. La loro carica ebbe la durata di un anno, nel corso del quale fu sospesa ogni altra magistratura. Pare che si mandasse anche una commissione in Grecia, per informarsi sulle istituzioni e le leggi vigenti in quelle città. Alla scadenza dell'anno, i Decemviri avevano ultimato la loro opera; le leggi furono sottoposte all'approvazione del popolo, furono incise su dieci tavole di bronzo ed esposte al Foro, perché ognuno potesse conoscerle. Nell'anno seguente, un secondo decemvirato preparò altre due tavole di leggi che andarono ad aggiungersi alle prime: si ebbe così il Codice delle XII Tavole. Ma questi ultimi legislatori si mostrarono meno equanimi dei precedenti e introdussero, nell'undicesima tavola, una legge umiliante per la parte plebea del popolo romano: era un divieto del matrimonio tra patrizi e plebei. Solo più tardi questa legge ingiusta venne abrogata.

IL CODICE DELLE XII TAVOLE (quello che ci è pervenuto)